Esistono centinaia se non migliaia di leggende legate a pesci dall’astuzia infinita 
e dalle dimensioni soprannaturali. I pescatori si sa, amano raccontare storie. E noi abbiamo utilizzato l’Intelligenza Artificiale per portarvi oltre l'immaginazione dei protagonisti, là dove può arrivare solo la tecnologia Infinity Evolution di Shimano Stella.
"Ribobino il mulinello con un filo nuovo, più grosso, passo in rassegna le esche migliori nella loro scatola. Scelgo il Martin, mi porta fortuna. 
Finalmente l’acqua mi lascia intravedere il fondo. Faccio qualche passo nel fiume. Un altro lancio, giro la manovella e l’archetto si chiude. All’improvviso sento una botta tremenda che flette la canna. La frizione del mulinello inizia a urlare, devo aver preso qualcosa di grosso. Non penso all’Imperatore. Figuriamoci. Cerco di fare qualche passo indietro tenendo la canna alta, ma non ci riesco, l’abbasso. Lascio che il cimino sfiori il pelo dell’acqua. Le testate del pesce le avverto direttamente sul polso. Sta testando la mia forza.  La grande coda agita l’acqua come se volesse dissiparla. È lungo più di due metri. Deve essere lui, deve essere l’Imperatore. Non faccio in tempo a pensarlo che riparte come una freccia scagliata verso il centro del fiume. Metri di filo inseguono il pesce che punta a valle. Mai visto nulla di simile, poi all’improvviso si ferma e il tempo con lui. Trattengo il respiro. Alzo lentamente la canna come se non volessi fargliela vedere, ma se ne accorge. La canna si piega completamente e quando credo sia al limite, l’abbasso veloce nel tentativo di recuperare filo. Ripeto il movimento per tre volte ma guadagno solo qualche centimetro.Il filo è teso, lo sento gridare. Non è il momento di lasciarmi, ripeto, non è il momento. Inizio a tirare. Tiro, piano ma costante. Recupero metri un centimetro alla volta per poi perderli all’improvviso, quando l’Imperatore accelera facendo fischiare lo Stella. Devo mantenere i nervi saldi, in qualsiasi istante potrebbe rompersi qualcosa, la treccia, il moschettone, il finale. Ma non posso pensarci. Non ora che è tremendamente vicino. L’acqua si agita follemente e poi all’improvviso la calma. È finita. L’ho preso. Apro l’archetto e lascio cadere la canna nel fango. Sono faccia a faccia con lui. Siamo sfiniti, uno di fronte all’altro. Con l’ultimo filo di forza gli sfilo l’amo, non è un accessorio che si addice a un Imperatore. Mi fissa. Gli occhi neri e profondi come il fiume che regna. Il dorso verde scuro maculato da piccole chiazze d’oro che sembrano medaglie, la testa grande, separata dal corpo da uno strano rialzo delle squame che formano una sorta di corona. Forse una ferita di caccia. E poi la bocca. Gigante. Oltre 600 denti affilati come diamanti. Non faccio nessuna foto, non riesco a distogliere lo sguardo. È lui che ha catturato me. Fa un respiro più grosso, forse un sospiro, si volta e si inabissa alimentando la sua leggenda. Andato. Sparito. 
So che non mi crederai, nessuno crede alle storie di un pescatore.”
"Me ne stavo sdraiato sulla barca guardando la punta della canna. Era già l’alba. Il sole si era appena aperto un varco all’orizzonte e con un fascio di luce accarezzava la superficie dell’acqua per chilometri. Il mare era particolarmente calmo, stava facendo di tutto per nascondere la nevrotica attività dei pesci. Scruto il cielo. Il garrito dei gabbiani tradisce il mare. Ci siamo. Non faccio in tempo a pensarlo che un gorgo rabbioso inghiotte l’esca. Afferro veloce la canna e la stringo con tutte le forze mentre il filo svuota la bobina a una velocità pazzesca. Faccio leva con le gambe per non finire in mare. Non ci credo. Mi sta trascinando con tutta la barca mentre prova paradossalmente ad allontanarsi da essa. È iniziata la battaglia. Tengo la canna bassa, non voglio farlo saltare ma non sono io a comandare. Infatti salta, salta eccome. Trattengo il fiato ogni volta che glielo vedo fare. Schizza fuori dall’acqua come se non fosse il suo regno per poi tuffarsi con forza, facendo sputare il mare. Non è uno spada, anche se ha una vela enorme sul dorso. Mai visto nulla del genere ma non ci penso, è ancora lontano. Provo ad assecondare le sue acrobazie e appena sembra calmarsi recupero filo. È una lotta estenuante. La bobina si riempie a fatica e si svuota velocemente.  Andiamo avanti per interminabili minuti, cinque forse venti, difficile a dirlo. La canna è piegata da così tanto tempo che a stento ricordo la sua forma. Devo avere pazienza ma forzarlo non è un’opzione. Cerco di accorciare le distanze, ogni metro è una vittoria. La frizione dello Stella è quasi completamente chiusa, non posso concedergli nulla. Lui però non è d’accordo e risponde con strappi vigorosi che avverto sulla schiena. Non sono più un ragazzo. Ripasso in rassegna tutta la strumentalizzazione. Ripercorro con la mente la lunghezza del filo fino agli ami. Penso a tutte le cose che potrebbero andare storto e ferro ancora più forte la canna. 
I muscoli mi vanno a fuoco ma anche lui inizia a stancarsi. Lo sento. I salti sono sempre più sporadici e meno alti. Accarezzo il sogno e finalmente è sotto la barca. Coloratissimo. Imponente. Sfinito. L’ho preso. Apro l’archetto e distendo il sorriso. Mi rilasso. Lui sembra fare lo stesso. È una creatura maestosa. Mi guarda. Ho come l’impressione che si sia lasciato prendere solo per conoscere lo stolto che ha osato sfidarlo. Mi sporgo fuoribordo per sfilare gli ami, tra i due sono sicuramente io quello ad avere paura, ha una bocca spaventosa. Faccio attenzione ad avvicinare le mani e in un secondo è di nuovo libero di allontanarsi. Come un Re. Senza fretta. So che non mi crederai, nessuno crede alle storie di un pescatore”. 

"Si chiama Rio, come il fiume, anche se in realtà è un nome femminile giapponese e in questo caso, è il nome di un pesce leggendario. L’angelo del lago. Una creatura meravigliosa e se non ne hai mai sentito parlare è perché probabilmente non hai mai pescato da queste parti. Tutti la conoscono e nessuno, almeno negli ultimi cento anni, ha mai avuto la fortuna di vederla. Nessuno a parte me. Era il primo pomeriggio di un mercoledì d’autunno. Il lago era immobile. Pescavo in quel posto da diversi giorni, l’avevo scoperto da poco e a dire la verità, non lo consideravo particolarmente fortunato visto che fino a quel momento non avevo preso nulla di importante. Ma il silenzio che avvolgeva quel luogo mi aveva rapito, lanciavo lontano e quasi me ne dimenticavo per ore. La superficie dell’acqua era uno specchio senza imperfezioni, rifletteva ogni cosa come se volesse mimetizzare il lago. E ci riusciva bene. Faccio l’ennesimo lancio. 
Sento la bobina che srotola velocemente il filo di nylon, è talmente sottile da essere invisibile poi finalmente vedo il galleggiante immergersi nell’acqua e creare uno schizzo che rompe il lago. Faccio scattare l’archetto e nello stesso istante la canna si flette spaventosamente, non avverto la botta, la canna è troppo morbida, ma è piegata praticamente a metà. Provo a recuperare filo, la frizione però non è d’accordo e concede metri di lenza. Non è una vera lotta perché a differenza sua io non riesco a fare praticamente nulla. Accorcio le distanze solo quando me lo concede e solo per pochi metri, per poi semplicemente perderli. È tutto al limite, il filo non è così resistente e ho paura di perderla prima di riuscire a vederla. Il suo modo di combattere è come una danza, cambia direzione repentinamente, senza mai strappare. Destra e sinistra. Avanti e indietro. Non ci credo, voglio la conferma che sia veramente l’angelo del lago. E lei non sembra voler scappare, sembra si diverta a mantenere la situazione in sospeso.  Poi all’improvviso le distanze si accorciano, l’elasticità della lenza si ammorbidisce e una sagoma lucente spunta fuori dall’acqua, ha uno strascico bianco, forse una pinna che, come un velo nuziale, accarezza il lago. Trattengo il fiato, mantengo la punta della canna bassa lasciando che il cimino entri in acqua per evitare acrobazie ma ormai si è concessa, non oppone resistenza. Ha scelto me. La vedo, è bellissima. Sento il cuore tremare, la commozione mi invade e le lacrime si fanno largo inaspettatamente. Sto piangendo. Ha gli occhi verdi, vivi, mi fissano, le scaglie bianche truccate di rosso, sembra fluttuare mentre le morbide pinne dipingono i suoi movimenti. La slamo con delicatezza e lei si lascia ammirare per non so quanto tempo, è quasi l’alba quando la vedo sparire per sempre. 
So che non mi crederai, nessuno crede alle storie di un pescatore”. 


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Cliente: Shimano Fishing
Agenzia: Different
Creative Executive Director: Massimo Del Monaco
Creative Director Art: Fabrizio Frasca
Creative Director Copy: Giorgio Lombardo

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